Quarantesimo della morte di don Carlo Lombardi
- Scritto da Redazione
- Categoria: Storia
Ricorre quest’anno il quarantesimo anniversario della morte di don Carlo Lombardi, parroco della Parrocchia di Santa Maria della Verità al rione Triggio in Benevento.
Fu barbaramente ucciso all’interno della casa canonica, pagò la sua missione pastorale e civile al servizio dei più fragili di quella comunità dove il malessere e il
disagio sfidavano la quotidianità delle famiglie. I giovani ne pagavano il prezzo più alto. Don Carlo guardò in quella direzione proponendo azioni e parole nuove e di riscatto.
La sua figura e la sua azione evangelica restano nella memoria della città che lo iscrive tra i suoi figli più cari, testimone della carità e della civiltà.
Venerdì 4 marzo presso la chiesa di Santa Maria della Verità, alle ore 18.30, l’arcivescovo monsignor Felice Accrocca celebrerà una santa messa di suffragio.
Subito dopo, alle 19.15, il sindaco Clemente Mastella insieme a tanti cittadini e rappresentanti di associazioni e movimenti, parteciperanno alla cerimonia di intitolazione della piazzetta antistante la chiesa al compianto sacerdote.
Don Carlo Lombardi, una piazza per il parroco eroe a Benevento
- Scritto da Nico De Vincentiis dal Mattino- Venerdì 4 Marzo 2022
- Categoria: Storia
Al rione Triggio di Benevento, nei primi anni '80 ancora simbolo dell’emarginazione popolare, il sacerdote don Carlo Lombardi si affannava nel compito evangelico della ricostruzione materiale e spirituale dei suoi fedeli.
Don Carlo guardò in quella direzione proponendo azioni e parole nuove e di riscatto.
Nella notte del 4 marzo 1982 fu sorpreso da tre individui che si erano introdotti nella canonica forse per compiere un furto, o più probabilmente – come riportò la stampa dell’epoca -, per intimidire quel prete che era entrato da missionario nelle loro vite alle quali indicare traiettorie diverse da quelle intraprese. Fu immobilizzato, legato e imbavagliato: i piedi avvolti da un filo di ferro, le mani e la testa strette da pezzi di stoffa e paramenti sacri che lo soffocarono. L’uomo della «primavera del Triggio» (lo avevano soprannominato San Giovanni Bosco) fu sepolto nel suo paese natale, Morcone, e oggi riposa nella chiesa cittadina del Triggio.È considerato tra i testimoni di carità e di civiltà della città di Benevento.
Addio a Josip Osti, l’amore assurdo e la contestazione
- Scritto da Gianluca Paciucci ( Il Manifesto)
- Categoria: Cultura
Josip Osti, poeta nato a Sarajevo nel 1945 e morto a Tomaj (Carso sloveno) sabato scorso dopo una lotta di sette anni contro un tumore, è stato uno dei più importanti poeti jugoslavi della generazione emersa tra gli anni Settanta e Novanta del secolo scorso, ma attivissimo ancora nello spazio balcanico – e non solo – dopo la dissoluzione del suo Paese. Capace di scrivere in serbo-croato come in sloveno, in queste lingue non trovava una patria ma una contestazione, nell’uso quotidiano e poetico, di quell’eccesso di patria e patrie di cui il suo mondo è stato vittima.
IN UNO DEI SUOI TESTI più celebri, «Sono un albero che cammina, corre, vola» (poesia raccolta nell’antologia con testo originale a fronte L’albero che cammina, Multimedia edizioni, 2004; traduzioni di Jolka Milic, morta in inizio 2021) Osti così scrive: «Sono un albero che cammina, corre, vola…/ Un albero che cammina sulle mani e si contempla/ nello specchio del cielo. Che corre nudo/ tra i prati, tra due realtà e due sogni./ Che una volta vola sopra Sarajevo e la seconda/ sopra Tomaj. Che tranne l’amore assurdo,/ non ha né patria né paese natío. Che anche/ quando germoglia e fiorisce, non smette di/ appassire e di morire». L’amore assurdo è stata la sua unica patria, e la ragione della sua poesia amaramente condita, negli ultimi decenni, dallo scandalo della guerra.
A lu funtanìnu di lu Càrminu
- Scritto da Angelo Siciliano
- Categoria: Tradizioni
A LU FUNTANÌNU DI LU CÀRMINU
(Alla fontanina di Piazza del Carmine
dialetto dell'Ottocento di Montecalvo Irpino) Link del post su Fb 2022:
"Quattu ffémmini munticalivési cu li pann'antichi, una ca fa la cauzètta; tre mmaccatóra e na pannùccia cu lu tuórchju e lu varrìlu 'n capu; li varrìli cu li chjérchja di fierru e chjérchja di lignàmu; lu funtanìnu cu lu pìsciuru". Quattro donne montecalvesi coi costumi antichi, di cui una sferruzza la calza, e una quinta, ritagliata a destra, con la veste intera che nel tempo avrebbe soppiantato i due costumi ottocenteschi; tre donne col fazzolettone, una con la pannuccia col cercine e il barile sul capo, come la donna ritagliata; i barili hanno cerchi in ferro e cerchi in legno accoppiati; la fontana ha un bel getto
Famiglia Franco
- Scritto da Dal Web
- Categoria: Attualità
Le origini dell'antica e nobile famiglia Franco si radicano probabilmente nella presenza politica di Re Guglielmo il Buono sul territorio irpino e che identifica nella figura di Petrus Frànculo (XII sec.), primo feudatario di Mons Calvus (attuale Montecalvo) che insieme a Gugliemo Potofranco per primo amministrò Mons Calvus come riportato nel Catalogo dei Baroni Normanni compilato ai tempi di Guglielmo il Buono e conservato presso l’archivio di Stato di Napoli, il proprio capostipite. "Petri Franculi et Guillelini Potifranci - tenent Montem calvum, quod est feudum quatuor militum et Genestram feudum unius militis -
et cum augumento obtullt milites decem". A seguito della probabile cessione del feudo la famiglia, stanziatasi stabilmente sul territorio montecalvese scelse, probabilmente per motivi di carattere patrimoniale, di non abbandonare la cittadina perpetuando il suo ruolo di riferimento politico per il popolo nei successivi secoli. L’archivio storico della città documenta la presenza stabile della famiglia sul territorio nel corso dei secoli concedendo una traccia ben delineata nella sua linea genealogica principale degli ultimi trecentocinquanta anni.
© Arma della Famiglia Franco dipinta sulla volta d'ingresso del Palazzo di Montecalvo Irpino.
Parzanese Pietro Paolo
- Scritto da Angelo siciliano
- Categoria: Attualità

Dialogo con Marko Kravos e Josip Osti.
- Scritto da Aldo Micillo
- Categoria: Cultura
Dietro la Poesia: Conversazioni con Poeti Contemporanei.
Aldo Micillo – Grazie per la vostra disponibilità a questa chiacchierata. Devo dire che ho trovato molto coinvolgente il reading delle vostre poesie, prima quello di Marko e poi quello di Josip. Per cominciare potreste raccontarmi qualcosa della vostra vita… Magari può cominciare Marko, che appartiene alla minoranza di lingua slovena a Trieste e che può poi tradurre le parole (in sloveno) di Josip…
MARKO – Riguardo alle circostanze della mia nascita, dico che sono qui, in Campania, anche per rivisitare i luoghi dove sono nato, in Irpinia, dove i miei genitori erano stati mandati al confino, durante la seconda guerra mondiale, dal regime fascista. Così nel ‘43 sono venuto al mondo nel paese di Montecalvo Irpino.
Sulle orme della famiglia Kravos nel Sud Italia Mario Aucelli nel suo libro anche sugli ex internati
- Scritto da Poljanka Dolhar
- Categoria: Cultura
Lui stesso ha vissuto la maggior parte degli eventi di cui scrive; prima di scendere in quasi 500 pagine di ampia narrazione, l'autore scrive dunque - posso legittimamente dire: io c'ero. Mario Aucelli è insegnante di professione, ma ha flirtato con la scrittura per tutta la vita, prima come collaboratore di molti giornali italiani, poi come ricercatore della sua piccola patria. Si trova nel sud Italia, nel cuore collinare della Campania: Mario Aucelli è nato nel 1936 a Montecalvo Irpino (Avellino), dove vive anche lui. Il paese di circa 3.500 abitanti è conosciuto in Campania per il suo pane di Montecalvo, e il suo nome viene fuori soprattutto quando si parla di Marko Kravos. Il poeta e scrittore triestino vide la luce per la prima volta (primavera 1943) a Montecalvo, dove le autorità fasciste internarono il padre Josip.
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