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Montecalvo Irpino:
L'arrivederci di P.Lorenzo alla comunità Montecalvese.
Dopo ventiquattro anni di permanenza ininterrotta, più cinque anni risalenti alla fine degli anni sessanta inzio anni settanta, per disposizione dei superiori ,P.Lorenzo Mastrocinque, si trasferisce nella vicina comunità francescana di Casalbore, senza tagliare completamente i rapporti con il nostro paese. Infatti, eccezionalmente, conserva, per bontà dei superiori sia religiosi che diocesani,la direzione del centro comunitario Maria SS. "Regina della Pace" in contrada Malvizza di Montecalvo Irpino (av). Da questo si evince con chiarezza che, il suo, non è un addio ma un semplice arrivederci, con somma soddisfazione della nostra comunità di cui ha rappresentato per tanti anni, la grande forza spirituale, umana e sociale.
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Caro Alfonso,
Mi chiamo Stefania Longo, ho 22 anni e sono italoamericana di origine irpina (da Guardia dei Lombardi). Sono anche studiosa dell'Irpinia, nel campo di letteratura, avendo scritto la mia tesi di laurea sulla letteratura dell'Irpinia dopo il terremoto del 1980. Sono italianista di professione ma preferisco concentrarmi solo sull'Irpinia perché i miei legami con la zona-- pur non essendoci mai stata-- sono fortissimi.
Sono un'amica di Angelo Siciliano, il quale mi ha segnalato il tuo sito che trovo meraviglioso perché mi permette di sapere chi sono gli altri studiosi dell'Irpinia!
Sto provando a procurarmi una copia del libro di Louis A. De Furia, potresti dirmi dove l'avesti trovato? Grazie! Tanti saluti ed a presto! Stefania
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'Ncoppa a li Fierri'
di Alfonso Caccese
A noi quarantenni di oggi, " li fierri" evocano ricordi di un passato, non troppo lontano ma ormai impresso nella nostra memoria con emozioni e tristezza. Ricordi certo di ragazzini "cianculusi" dediti ai giochi per strada, chiassosi ed indisponenti, ma conpartecipiti di una quotidianità globale che vedeva quella zona come scena unica e principale della Montecalvo prima del terremoto del 1962. Testimoni ,inconsapevoli e disincantati, di una storia d'altri tempi che scorreva e traspariva dallo sguardo di una anziana femmina , stretta nel proprio dolore o da una serie di schiene curve di vecchi contadini seduti con il " culo" sporto nel vuoto sui"ferri".
- Scritto da Arturo De Cillis
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Arturo De Cillis
Quando i Borbone ordinavano:Prefazione
Il nostro maggiore scrittore storico, Giacinto de Sivo, nel commemorare i caduti delle battaglie sul Voturno e sul Garigliano, così si rivolgeva ai Napolitani che si erano recati a Roma e che preferivano vivere in quella città in miseria, piuttosto che rimanere nella loro Patria invasa dai Piemontesi (in quegli anni, tra il 1861 e il 1862, infatti, furono circa 48.000 gli incarcerati per “motivi politici” nella sola Napoli): «La Patria nostra, della quale siam lontani esuli e raminghi, era buona e bella, era il sorriso del Signore. La Provvidenza la faceva abbondante e prosperosa, lieta e tranquilla, gaia e bella, aveva leggi sapienti, morigerati costumi e pienezza di vita, aveva esercito, flotta, strade, industrie, opifici, templi e regge meravigliose, aveva un sovrano nato napolitano e dal cuore napolitano. Ma fatale era tanta prosperità, l’invidia, l’ateismo e l’ambizione congiurarono assieme per abbatterla e spogliarla. Calunnie e corruzioni, un lento decennale lavoro prepararono l’opera e tutto ciò spaventerà un giorno l’imparziale posterità». Queste parole, scritte proprio nei giorni in cui più violenta si compiva l’azione repressiva delle truppe piemontesi, rispecchiano la verità di quella che fu una vera e propria conquista militare da parte di uno staterello che, essendo praticamente sull’orlo del fallimento, non aveva altra scelta che aggredire gli altri Stati della peni sola italiana per rimpinguare le proprie casse quasi vuote. Il barbaro Piemonte, per attuare il suo piano di conquista, usò tutte le armi di cui poteva disporre, soprattutto le menzogne. Incominciò a vendersi la Savoia e Nizza ai francesi per pagarsi le spese di guerra e per giustificare queste aggressioni le chiamò “d’indipendenza” accusando gli austriaci di essere degli “oppressori” e mostrando un evidente disprezzo per il diritto dei popoli. Attraverso la corruzione sistematica e utilizzando dei sovversivi prezzolati, il Savoia di turno fece suscitare dei moti rivoluzionari negli altri Stati preunitari allo scopo di giustificare le successive invasioni per “ristabilire l’ordine”.