«La Sekoma Di Montecalvo Irpino Prima Banca Del Civico Monte Frumentario» 

Parte sesta

La ferale epidemia (VEDI PARTE QUINTA) inferse un colpo mortale al feudo di Corsano e alla sua civica autonomia.
I pochi superstiti si videro costretti ad abbandonare le loro terre rifugiandosi, per la gran parte, nel rione Trappeto di Montecalvo ove diedero vita al caratteristico insediamento rupestre.
La fine di Corsano alimentò leggende quali quella dell’invasione di serpenti che avrebbe costretto gli abitanti a lasciare per sempre le loro case.
E’ probabile che il fondo di verità della leggenda sia stato l’alta proliferazione dei rettili che ancora oggi, peraltro, abbondano nel territorio di Corsano, in case precedentemente abbandonate.
Così, in merito, nel 1794, racconta lo storico Tommaso Vitale:
«[…] E’ volgare tradizione, che l’abbondanza de’ serpi avesse nel passato secolo obbligati gli abitanti ad abbandonarla (il riferimento è alla “Terra” di Corsano);
ma si può attribuire volentieri la distruzione alla pestilenza sterminatrice, avvenuta in questo Reame nel 1656 poiché prima di tal anno certamente esisteva, leggendosene nel documento delle Visite Vescovili di detto secolo, e fra l’altre in quella del Cardinale Ridolfi del 1613 […]».
Sfuggì, evidentemente, al Vitale, il registro delle visite pastorali di mons. Alessandro Russo da me e da Giuseppe Lo Casale rinvenuto, nel 1983, presso l’archivio diocesano arianese.
In esso vi è l’eccezionale descrizione del primo visitatore nella Corsano appestata.
Il documento è di uno straordinario valore storico, non solo perché registra il primo allarme di un disastro che irrimediabilmente causò la fine di una comunità dalla storia plurisecolare, ma anche perché indica una data che anticipa alla fine dell’estate del 1655 l’inizio dell’epidemia nel Principato Ulteriore:
 il 23 settembre del 1655, Ultimata la visita pastorale in Monte Malo (l’attuale Sant’Arcangelo Trimonte), dopo pranzo, il visitatore apostolico giunge in Corsano.
La prima sorpresa fu quella di ritrovare il feudo deserto e, inspiegabilmente, il paese, per la maggior parte, distrutto.
Portatosi alla chiesa madre di San Nicola, che avrebbe dovuto essere sontuosamente addobbata per la Santa Visita, trovò questa chiusa come se si fosse trattato di una chiesa rurale.
L’abate non comparve, né altri per lui a rappresentarlo.
Si disse fosse infermo.
La chiesa di San Giovanni Gerosolimitano, un tempo convento dell’ordine di Sant’Agostino della congregazione delicetana fu rinvenuta quasi crollata e circondata di rovine.
Un paese privo dei suoi abitanti in un giorno di festa, quale quello di una visita pastorale, e crollato non a causa di eventi sismici, ai quali si era in un certo modo abituati, spaventarono non poco il visitatore apostolico che, angosciato, inviò un messo in Ariano per informare il vescovo e gli Arianesi del preoccupante stato di Corsano e della sua chiesa principale.
Fu in quei giorni che Corsano perdette definitivamente la sua autonomia divenendo, man mano, una sola realtà civile con Montecalvo.
[…]
Più volte, nel corso degli anni, gli amministratori di Montecalvo sono costretti a fronteggiare problemi collettivi di disagio economico impegnandosi a spalmare equamente i sacrifici fiscali sull’intera collettività.
Il 24 maggio del 1829 il Consiglio Comunale divide la popolazione in base al censo individuando otto classi:
«[…] Il numero della popolazione […] essendo di cinque mila duecento ottantacinque (si sottintende “abitanti”) dei quali, dedotto il numero di 1.057 individui tra minori, ed indigenti, a termini dell’art. 203 della legge 12 dicembre 1826, resta il numero effettivo a ratizzarsi a 4.228, quale numero viene rappresentato da mille e novantasette capi di famiglia.
Questi sono stati divisi per otto classi, avendo in considerazione gli individui meno agiati gradatamente procedendo dalla prima classe sino all’ultima praticando in tale divisione, per quanto si è potuto, una somma equità nel considerare in ciascun capo di famiglia il suo comodo ed il consumo presuntivo;
e quindi ha fissato per la prima classe grani ventisette, carlini dieci, e grani otto;
per la seconda, ducati due e grani quarantatré;
per la terza ducati quattro e grani trentadue;
per la quarta ducati sei e grani settantacinque;
per la quinta ducati nove e grani settantadue;
per la sesta ducati 13 e 23;
per la settima e per l’ottava ducati 17 e 28, giusta le istruzioni diramate dal Signor Sottintendente del distretto del dì 1° Marzo ultimo n° 1176 [… ]».
Seguono le firme del sindaco e dei decurioni:
Vincenzo Caccese, Nicola Cavalletti, Antonio Verzaro, Michele Stiscia, Antonio Passavanti.
Nella seduta del 5 luglio 1831 gli amministratori comunali stimano, per una popolazione di 5.374 abitanti, qual era all’epoca quella montecalvese, un consumo di circa 36.000 tomoli, (corrispondenti a 1.728.000 Kg) tra grano e granone.
Il 29 agosto del 1831 il Consiglio Comunale determina la doppia terna per la nomina degli Amministratori del Monte Frumentario in sostituzione degli uscenti Nicola Cavalletti e Saverio Lo Casale.
Vengono prescelti il Signor don Antonio Passavanti fu Francesco, Felice Mattia Verzaro fu Crispino, Domenico Bufo fu Felice, Giuseppe Mascoli fu Luigi, Giuseppe Caccese fu Giovanni, Giuseppe Bellaroba fu Nicola.
Ancora una volta, nel 1848, la preoccupazione della insufficiente disponibilità delle derrate cerealicole, ispira le scelte dei decurioni montecalvesi che così si esprimono nella seduta del 3 novembre di quell’anno:
«Le attuali circostanze del paese sono oltremodo tristi per la miseria che vi regna, accagionata dal pessimo ricolto fatto dei cereali, e che da ora fa mestieri pensare al modo di sostentamento di non poca gente che gira nel paese.
Per tali motivi, unanimemente delibera abolire tutti i dazi e privativ’esistenti come cespiti d’introito per questo comune progettando, invece, il ruolo a transazione per ducati 1.567 e grana 85 da distribuirsi proporzionatamente e secondo il consumo a tutti gli individui del comune escludendone tutti i poveri […]».
RAPPRESENTANDO, IL MONTE FRUMENTARIO, UNA VERA E PROPRIA BANCA DEL GRANO, SI RENDEVA NECESSARIO UNO STRUMENTO UFFICIALE DI MISURAZIONE CHE GARANTISSE TRASPARENZA SIA NEL PRESTITO, SIA NEL COMPUTO DEGLI INTERESSI, CALCOLATI SECONDO LE PROMULGAZIONI UFFICIALI DEL TASSO.
ECCO CHE I QUATTRO INCAVI DEL NOSTRO MANUFATTO CORRISPONDONO ALLE DISTINTE QUANTITÀ IN RAPPORTO ALLE MISURE UFFICIALI DELL’EPOCA DI ESECUZIONE.

E’ DEL 6 APRILE 1480 IL PRIMO EDITTO REALE CHE DEFINISCE, PER IL REGNO DI NAPOLI, LA MISURA UFFICIALE DEL TOMOLO CHE VIENE QUANTIFICATO IN 55,3189 LITRI.

CONTINUA

 FONTE
 Giovanni Bosco Maria Cavalletti

I visitatori dal 30/11/2002  fino ad oggi sono:


 

Pin It